Sabato 18 maggio – “L’EREDITÀ DI ESZTER” / di Sándor Márai, con Cloris Brosca e Cristina Liberati

Posted on 14/05/2013 by Staff_Albero

L’EREDITÀ DI ESZTER
di Sándor Márai

con CLORIS BROSCA e CRISTINA LIBERATI
a cura di  Cloris Brosca

Violino / Cristina Silvestro
Costumi e Scenografia / Carlo Senesi
Progetto luci / Toni Damiano
“Dente per dente… occhio per occhio… la chiave d’oro l’ho data a Pinocchio”.
Occhio per occhio…: è così diffusa la modalità della contrapposizione nelle nostre vite che l’incontrare qualcuno – in letteratura come nella vita – che si misuri col prossimo adottando comportamenti differenti genera in noi una sorta di stupore.

Mi imbatto nel personaggio di Eszter e rimango affascinata: voglio vedere, col suo singolare comportamento, “questa stupida dove vuole arrivare”, ben conscia, da qualche parte dentro di me, che quella stupida che porge l’altra guancia – e fino a che punto! – sono io, potrei essere io.

Eszter, protagonista eponima del romanzo, è un’osservatrice disincantata: assiste al dipanarsi degli avvenimenti che la porteranno alla sicura rovina con il distacco della ricercatrice attenta a non influenzare minimamente l’esperimento a cui prende parte. Solo, si squarcia l’anima, permettendo al lettore di osservare, come attraverso una lente d’ingrandimento, la minuziosa vivisezione di quello che accade al suo cuore spalancato.  Non riesco a immaginare niente di più teatrale: è lì che ho desiderato prepotentemente di portare in scena L’eredità di Eszter.

Mi spiego meglio. Questo “assistere” non è senza conseguenze per il lettore, che viene trasformato in men che non si dica  nello spettatore perfetto:  incantato dalla parola di Márai viene precettato in una sorta di coro greco – di cui Nunu è l’ineffabile avanposto – che, muto, partecipa alla vicenda, se ne duole, se ne stupisce, ma, imprigionato nel suo ruolo, non può intervenire per cambiarne la trama, né tantomeno sottrarsene. Dirò di più, a specchio con quanto accade ad Eszter, anche noi diveniamo vittime del fascino predatorio di Lajos: perdiamo la nostra lucidità, se non altro per indignarci al massimo grado della sua insaziabile rapacità a fronte dell’inerme remissività di Eszter. Da lettori-spettatori veniamo risucchiati nella vicenda, e fondendoci con i protagonisti della scena, come personaggi pirandelliani, non possiamo far altro che raccontare/assistere ancora e ancora alla storia – soffocati dalla paradossale domanda finirà in maniera differente questa volta? – consci, insieme ad Eszter, che l’unico tempo in cui il portato devastante di questa domanda si acquieta e perde vigore è proprio il tempo del racconto – della rappresentazione – abitato dal tumulto degli eventi, attirati irresistibilmente in una sola, unica, possibile direzione fino al compiuto assetto finale. Come nel romanzo: tutto è già avvenuto e il racconto – venefico e salvifico insieme – ripropone immutabilmente lo stesso fatale accadimento.