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Il Teatro dell’Albero

Il Teatro dell’Albero è un luogo dell’anima. E’ il suo nutrimento.
Che si entri dal portone principale o alla fine del lungo corridoio comunale, il Teatro dell’Albero ti accoglie a fine lavoro o dopo cena con spettacoli sempre diversi e sempre coinvolgenti. Il teatro dell’Albero è sorprendente. Sorprende che un luogo tanto importante sia in un paese di 1000 abitanti, sorprende che ospiti attori meno conosciuti e bravissimi e attori coinvolgenti conosciuti anche attraverso la televisione. 
Al teatro dell’albero ci vado da vent’anni, da quando è nato, da quando ha timidamente organizzato la prima rassegna teatrale. Ci sono andata con la curiosità quasi fredda di chi si avvicina a qualcosa di sconosciuto con un po di pregiudizio. Mi è bastato il primo spettacolo, “La Fabbrica” di Ascanio Celestini, per fidelizzarmi, perché io capissi che quello era il luogo giusto con la giusta attrezzatura per lo spirito. Da lì in poi una continua meraviglia. Una continua scoperta. Banale forse, ma forte. Ho sperimentato che la condivisione dello stesso spazio con un attore che a tratti mi guarda e guarda tutti e interagisce con il pubblico senza barriere catodiche è emozionante, potente, appassionante. Meglio della televisione. Molto meglio. Imparagonabile, pardon.

Ci sono tre elementi che costituiscono il Teatro dell’Albero: gli attori; il cuore pulsante, l’energia vitale; il pubblico. Anzi quattro. Mi stavo dimenticando il Ficus che secondo me è Ficus Elastica ma loro insistono dicendo che è Ficus di altra varietà…..

Ai primi appartengono naturalmente Loredana, Daniela, Franco, Paolo, Carlo. Ideatori, costruttori e coltivatori attenti e instancabili che hanno scommesso sulla possibilità di avvicinare il teatro al pubblico, hanno scommesso sulla possibilità di creare un luogo bello, culturale e accogliente come il salotto di casa. Lo hanno fatto con la complicità sana e lungimirante di Franco Bianchi allora Sindaco. Lo fanno con la complicità orgogliosa ed intelligente della attuale amministrazione. Carlo, regista, silenzioso e signorile bohemien, tanto meticoloso quanto appassionato, tiene insieme la compagnia dell’Albero ascoltando e correggendo fino al risultato atteso.
Loro sono come l’olio essenziale negli agrumi, come le bollicine nella Sprite.

Di attori ne avremo visto un paio di centinaia, donne uomini, solisti, in gruppo, con spettacoli a sfondo sociale, letterario, storico, alcuni interpretano alcuni leggono, alcuni scrivono da sé le proprie performances. Alcuni hanno fatto l’esperienza della televisione altri l’hanno rifiutata. Una compagine varia, colorata, professionale con una eco musicale, scoppiettante, affabulatrice. Attraente. Ma così bravi dove li trovano? Da qualcuno ci aspettavamo molto perché professionista maturo ma siamo rimasti un po’ increduli. E anche se certe cose non si devono dire lasciatemi pensare che in questa moltitudine di attori ed in una atmosfera così bella e importante le insoddisfazioni sono davvero talmente poche da non intaccare la media dei voti. Che rimangono altissimi.

Resta il pubblico. Il teatro accoglie circa cento persone. Novanta possono stare sulle seggiole, altri, che non sentono ragioni, pur di andare in quel luogo siedono sulle gradinate per le quali l’organizzazione offre cuscini morbidi per le terga delle signore… E anche dei signori. A volte ci si adatta sui gradini appoggiati alla ringhiera. Lo spettacolo è talmente ambito che non si sente la mancanza di certe frivolezze come una soffice poltrona. Il pubblico è vario, le estrazioni sociali sono varie, le esperienze sono varie. Il piccolo cortile davanti all’ingresso e il piccolo foyer sono il luogo dell’appuntamento come lo erano le panchine o il pino quando adolescenti andavamo ad incontrare gli amici.

Si potrebbe fare l’appello, quando arrivi riconosci molti degli astanti, dai riccioli, dalla figura esile, dalla voce, dalle facce in attesa. Si chiacchera, ci si bacia e abbraccia, ci si ritrova. Tutti legati dallo stesso interesse per lo spettacolo del quale siamo sicuri saremo soddisfatti. Uniti tutti dallo scrosciante, caloroso interminabile applauso finale. Si spengono le luci. Si torna a casa.

Il teatro dell’albero non va letto. Va vissuto.

Da Floriana ( IL NOSTRO PUBBLICO)


La sala Beckett ha ormai compiuto e superato i venti anni di vita. Ma perché e come è nato questo piccolo teatro? Quando accadono eventi disastrosi come lo fu, per San Lorenzo, l’alluvione del 1998, occorre non solo rimboccarsi le maniche per rimettere in piedi un territorio duramente provato, ma serve ancora di più individuare una linea guida che diventi insieme un obbiettivo e uno strumento di rinascita. Il paese, per le profonde mutazioni che aveva subito a partire dagli anni sessanta era ormai un crogiolo formato da successive e massicce immigrazioni, il che rendeva difficile la riscoperta di radici comuni capaci di dare slancio alle attività di ricostruzione. Si può sempre ricostruire qualcosa che è stato anche ferocemente danneggiato, più difficile ricostituire un tessuto sociale che già in precedenza presentava gli strappi causati dal mescolarsi di tradizioni diverse e talora persino distanti. Sinteticamente l’idea guida scelta fu il ricostruire pensando ad un nuovo paese a misura d’uomo in cui fosse piacevole vivere e, per raggiungere l’obbiettivo, si fece ampiamente ricorso all’arte nel senso generale di cura del particolare e inserimento di opere capaci di durare nel tempo fino a divenire un’identità su cui tutti potessero riconoscersi. 
In questo quadro è nata anche la sala Beckett che è soprattutto una piazza ideale in cui una piccola comunità potesse, anche qui nel tempo, celebrare i propri momenti di condivisione. Alla sala Beckett si diede anche la forma dell’antico teatro greco, luogo in cui, il bene ed il male venivano messi in scena per ricondurre tutti alle radici stesse della propria umanità. 
Fu inserito anche un albero nell’ambito della sala, per collegare l’idea umanistica al mondo contemporaneo. Il ficus nitida che vive in sala Beckett è il muto testimone del tempo e della vita immaginato dal grande drammaturgo nel suo ‘Aspettando Godot’ e presiede alla collaborazione tra diverse volontà e passioni che in questi vent’anni hanno onorato e variamente interpretato l’idee guida iniziale. 
La strada da compiere è ancora lunga e questo era ampiamente previsto nell’idea iniziale. Come ci insegnano spesso le molte opere rappresentate in teatro, nulla si crea senza fatica e tempo. Per ora, le diverse amministrazioni che si sono succedute hanno cercato di sostenere il tentativo di ricostruzione trasformandola in quotidianità, in questo caso aiutate dalla grande passione profusa dalla compagnia teatrale che ha trovato casa in sala Beckett. Un ringraziamento a loro è dunque doveroso come è doveroso e piacevole ringraziare anche tutti coloro che, inconsapevolmente magari, hanno contribuito alla rinascita di un paese: il pubblico attento e a sua volta appassionato della stessa sala Beckett.
Franco Bianchi
Marina Avegno
Paolo Tornatore


Caro Albero,

è da tanto che volevamo scriverti, ma senza un perché rimandavamo come quando possiedi un bene che è lì e sei sicuro che sempre resterà lì, a scaldarti il cuore e ad accarezzarti l’anima.
Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?
E’ stato tanto tempo fa, vent’anni fa per la precisione, ma non scorderemo mai lo stupore che provammo e la forte emozione nel vederti lì, in uno spazio inusuale per te, ma in una cornice perfetta e così unica, da renderci increduli.
Poco più alto di noi, con la tua verdissima chioma e il tuo tronco giovane ma solido, ci hai da subito messi a nostro agio e accolti sotto i tuoi rami. 
Abbiamo percepito un fremito tra le tue foglie, lieve ma deciso e d’istinto ti abbiamo abbracciato. 
Non finivamo di guardarti, di accarezzare il tuo tronco, di cercare di vedere fin dove arrivassero le tue radici, se fossero ben piantate, se ci fosse abbastanza terra, per poter affondare il più possibile e per garantirti forza e stabilità.
In quel momento abbiamo stretto un patto: noi ti avremo dato acqua, luce, riparo e tu la tua energia, la tua forza, il tuo calore, la tua saggezza, la tua melodia… per costruire insieme un grande sogno!
Il sogno lo abbiamo realizzato, costruendolo giorno dopo giorno, tanti amici sono arrivati nella tua casa: Cloris, Ascanio, Maria, Laura, Giorgia, Saverio, Ulderico, Davide, Mario, Dalila, Pino, Rosario… e tanti tanti altri… e sotto le tue fronde hanno dato vita a momenti magici, quante storie, quanti racconti, quante riflessioni e costruzioni di pensieri nuovi, quante emozioni e lacrime, brividi, ma anche risate a crepapelle… quanta bellezza.
E i bambini? Quanti hanno giocato sotto i tuoi rami e con te hanno scoperto la magia del teatro, i loro occhi hanno brillato… il silenzio ha regnato e poi l’esplosione delle risate e degli applausi sfrenati.
E il pubblico? 
Ad ogni tuo richiamo, sono arrivati puntuali, entusiasti, curiosi di scoprire l’incantesimo che gli avresti riservato. Ti hanno applaudito, ti hanno fotografato, si sono stretti a te, come ad un amico caro che ti conosce, al quale non neghi mai la tua presenza, perché sai che ha sempre in riserbo per te una sorpresa che non ti delude mai.
Grazie caro Albero per quello che hai fatto e siamo certi continuerai a fare, per tutti noi, perché con i tuoi rami ci ripari dalla noia, dalla mestizia e dal convenzionalismo. Con il tuo ossigeno ci fai respirare aria nuova e rigenerante, con le tue radici rinvigorisci, potenzi e rafforzi te stesso e tutti noi che ci nutriamo di arte e di bellezza.
Grazie a colui che con una sensibilità unica e con grande generosità ti ha voluto, scelto e piantato lì.
Grazie a tutti coloro che amministrano la tua casa, perché in tutti questi anni hanno creato le condizioni perché tu crescessi così forte.
Noi con il nostro amore e la nostra dedizione continueremo a darti acqua e luce!
Franco, Paolo, Loredana e Carlo



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